SCF – Società Consortile Fonografici. Un compenso dovuto?

OGGETTO: SCF –  Società Consortile Fonografici

Un compenso dovuto?

By:  Andrea Albertin, Presidente Consulta Comitati ASI

 

In relazione alle richieste avanzate dalle SCF del pagamento di un compenso da parte dei  pubblici esercizi e di altri esercizi commerciali per la diffusione di musica utilizzando CD, Lettori musicali o altri supporti, compresi gli apparecchi radio-TV, anche prendendo spunto da uno studio dell’Ufficio legislativo  e affari giuridici della Confesercenti del 2007 e riadattandolo e contestualizzandolo, lo scrivente, alla realtà associativa,  si osserva quanto segue:

 

I “diritti connessi” 

La tematica è quella dei diritti connessi al diritto d’autore, secondo la disciplina di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, recante appunto “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”.

In estrema sintesi, mentre il diritto d’autore, che tutela l’opera musicale, viene corrisposto all’autore della composizione e all’editore del brano ed è rappresentato e riscosso mediante la SIAE, i diritti connessi al diritto d’autore sono relativi alla registrazione e vengono corrisposti al produttore fonografico della registrazione e all’artista che ha prestato la propria voce all’incisione.

SCF, Società Consortile Fonografici, come recita il proprio sito istituzionale, opera quale società di servizi volta a gestire in Italia i “diritti connessi al diritto d’autore” spettanti ai produttori fonografici, e dichiara di rappresentare il 90% del repertorio discografico nazionale e internazionale pubblicato in Italia (non il 100%). Il dato, peraltro difficilmente verificabile, lascia peraltro aperta la porta alle pretese di altre 9 imprese che svolgono l’attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore (Art. 3, comma 2, DPCM 19 dicembre 2012). Cosa significa? Che una ASD potrebbe pagare SCF per un brano non di sua pertinenza.

SCF ha per scopo la raccolta dei compensi per diritto connesso al diritto d’autore per conto dei propri Soci e Mandanti e la ripartizione di quanto raccolto a favore dei singoli produttori fonografici e degli artisti tramite l’IMAIE (Istituto Mutualistico Artisti Interpreti e Esecutori).

Le norme 

La norma esiste e la pretesa di SCF nei confronti delle imprese associate (per la maggior parte pubblici esercizi, ma anche esercizi commerciali) si appoggia sull’art. 73 della legge n. 633/41, laddove stabilisce che il produttore di fonogrammi, nonché gli artisti interpreti e gli artisti esecutori che abbiano compiuto l’interpretazione o l’esecuzione fissata o riprodotta nei fonogrammi, indipendentemente dai diritti di distribuzione, noleggio e prestito loro spettanti, hanno diritto ad un compenso per l’utilizzazione a scopo di lucro dei fonogrammi a mezzo della cinematografia, della diffusione radiofonica e televisiva, ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite, nelle pubbliche feste danzanti, nei pubblici esercizi ed in occasione di qualsiasi altra pubblica utilizzazione dei fonogrammi stessi. L’esercizio di tale diritto spetta al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati”.    L’art. 73-bis, aggiunto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 685/94, stabilisce che “gli artisti interpreti o esecutori e il produttore del fonogramma utilizzato hanno diritto ad un equo compenso anche quando l’utilizzazione di cui all’art. 73 è effettuata a scopo non di lucro.

 

Dubbi interpretativi e vuoto normativo 

Un primo dubbio riguarda l’applicabilità della norma in relazione all’utilizzazione dei fonogrammi in esercizi commerciali diversi dai pubblici esercizi (per pubblici esercizi, infatti, secondo la definizione datane dall’art. 86 del TULPS,  RD n. 773/31, dobbiamo intendere esclusivamente gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, gli esercizi ricettivi, gli stabilimenti balneari e le sale gioco).

I circoli privati e le associazioni sportive per natura sono privati e non pubblici, ma a questa obiezione risponde SCF che la diffusione di musica registrata effettuata nei locali delle associazioni sportive, non può, in alcun modo, essere considerato un utilizzo privato del fonogramma.

E menziona a tal proposito il secondo comma dell’art. 15 della stessa l.d.a. a norma del quale “Non è considerata pubblica la esecuzione, rappresentazione o recitazione dell’opera entro la cerchia ordinaria della famiglia, del convitto, della scuola o dell’istituto di ricovero, purché non effettuata a scopo di lucro”.

Lo stesso articolo prevede che

Art. 15-bis: agli autori spetta un compenso ridotto quando l’esecuzione, rappresentazione o recitazione dell’opera avvengono nella sede dei centri o degli istituti di assistenza, formalmente istituiti nonché delle associazioni di volontariato, purché destinate ai soli soci ed invitati e sempre che non vengano effettuate a scopo di lucro. In mancanza di accordi fra la Società italiana degli autori ed editori (SIAE) e le associazioni di categoria interessate, la misura del compenso sarà determinata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare sentito il Ministro dell’interno.

Orbene, sostiene SCF, in tutte le ipotesi in cui sia ravvisabile un utilizzo della musica tale da realizzare un superamento della “cerchia ordinaria” della famiglia, del convitto, della scuola o dell’istituto di ricovero, si ha certamente una pubblica esecuzione dell’opera.

A questa risposta si potrebbe obiettare che, anche volendo accettare questa tesi, per quanto concerne le ASD si è in presenza di una “scuola” (di ballo, di arti marziali, ecc.).  Il problema si porrebbe semmai per i “Circoli” che non attuano con modalità “scolastiche”.

Ma soprattutto si potrebbe obiettare che non si comprende perchè i fonografici giustifichino le proprie pretese prendendo a riferimento l’art. 15 che si riferisce in realtà al diritto d’autore (SIAE)

Non ha caso il legislatore ha disciplinato il diritto dei fonografici in diverso TITOLO (II) e con appositi articoli di riferimento (artt. 72 e 73 e 73 bis).

 

Viene inoltre in soccorso la seconda perplessità

La seconda perplessità, quella a nostro avviso fondamentale, riguarda la determinazione della misura del compenso.

L’art. 73 stabilisce che la misura del compenso e le quote di ripartizione, nonché le relative modalità, sono determinate secondo le norme del regolamento.

Il RD 18 maggio 1942, n. 1369, regolamento per l’esecuzione della legge n. 633/41, all’art. 23, dispone che la misura del compenso dovuto, ai sensi dell’art. 73, da chi utilizza a scopo di lucro il disco o altro apparecchio analogo riproduttore di suoni o di voci è determinata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, in adunanza generale.

L’art. 73-bis stabilisce che, salvo diverso accordo tra le parti, il compenso (per chi utilizza i fonogrammi a scopo non di lucro) è determinato, riscosso e ripartito secondo le norme del regolamento.

Se anche considerassimo ricompreso il mondo privato del no profit nel concetto di pubblica esecuzione (che è un non senso) questo ricadrebbe nella fattispecie di utilizzazione non a scopo di lucro.

Ora, mentre la previsione relativa all’approvazione di un provvedimento governativo per la determinazione del compenso inerente l’utilizzazione a scopo di lucro si è concretizzata nel DPCM 1 settembre 1975 (che commisura il compenso al 2% degli incassi lordi o delle quote degli incassi lordi corrispondenti alla parte che il disco o apparecchio occupa nella sua pubblica utilizzazione da parte delle categoria degli utilizzatori di cui all’art. 73), non mi risulta sia stata riempita di contenuti la norma che rimanda al regolamento per la determinazione dei compensi relativi all’utilizzazione a scopo non di lucro. Il regolamento, emanato nel 1942, non è stato infatti integrato e modificato a seguito dell’approvazione, nel 1994, dell’art. 73-bis.

Si viene a realizzare così un vuoto normativo, e cioè l’assenza – per la parte relativa ai compensi – di una regolamentazione specifica della materia dei diritti connessi per le utilizzazioni a scopo non di lucro, tale da potersi ritenere che il diritto dei produttori di fonogrammi, nonché degli artisti interpreti ed esecutori, alla riscossione dell’equo compenso è solo astrattamente riconosciuto dal legislatore, ma di fatto non è esercitabile in mancanza della determinazione del quantum dovuto.

Non può farsi applicazione analogica di princìpi, in riferimento al richiamato DPCM del 1° settembre 1975, considerato che, per addivenire alla misura del compenso per i produttori, detto provvedimento indica un parametro di calcolo dipendente proprio dalla finalità di lucro connessa all’utilizzazione del fonogramma.

Né può farsi uso dell’equità integrativa del giudice, poiché questa può intervenire solo nel caso in cui vi sia un rinvio di legge, ciò che, nel caso concreto, non è previsto.

 

Quanto ai “diversi accordi tra le parti”, richiamati sia dall’art. 23 del regolamento di esecuzione in relazione all’art. 73 della legge n. 633, sia direttamente dall’art. 73-bis della stessa, questi ben possono intervenire a modifica “in melius, si suppone” delle disposizioni contenute nei regolamenti governativi che stabiliscano l’importo dovuto, ma nessuna norma impone alle parti interessate o alle loro Associazioni rappresentative (ASI) di stipulare apposite convenzioni.

 

Ed in assenza di Accordi con le Associazioni di Categoria Interessate (in questo caso ritengo estensibile agli Enti di promozione quali ASI), nulla è da ritenersi dovuto.

Né le convenzioni stipulate da alcune di altre Associazioni possono in alcun modo vincolare gli iscritti ad altre o non iscritti ad alcuna Associazione, non essendo prevista in materia l’applicazione “erga omnes” di norme convenzionali.

Infine, la SCF non può, univocamente, stabilire la misura dei compensi (che a quel punto tutto sarebbe meno che equa).

In definitiva, mentre per le utilizzazioni a scopo di lucro esiste una previsione normativa inerente il compenso dovuto, completata fra l’altro dal DPCM 15 luglio 1976 per l’utilizzazione di fonogrammi in radiofonia e televisione e da alcuni accordi che riguardano particolari categorie di imprese, almeno per quanto concerne le utilizzazioni a scopo non di lucro sembrano sussistere i margini per sostenere che, in mancanza di un regolamento che determini il quantum dovuto a produttori fonografici ed artisti, il diritto agli stessi astrattamente riconosciuto dall’art. 73- bis LDA non sia di fatto esercitabile.

 

Infine, un terzo dubbio, per quanto residuale, riguarda la possibilità che SCF possa pretendere il pagamento dell’equo compenso ex art. 73-bis LDA nei casi in cui negli esercizi pubblici o commerciali la musica sia diffusa attraverso apparecchi radio o TV: ciò perché, essendo già previsto il pagamento del compenso ex art. 73 da parte delle emittenti radio-televisive per la diffusione al pubblico, appare una “forzatura” la richiesta di un ulteriore compenso a carico dei titolari di esercizi, che si pongono essi stessi come pubblico, dal momento che dalla medesima diffusione non ricavano un lucro.